L’altare della Madonna mora

«Nigra sum sed formosa, filiae Jerusalem». Una Madonna «nera» e bellissima. Proprio come la Madonna

Mora, castana di capigliatura, che sorregge sorridente il suo santo Bambino nella cappella sita nel cuore antico della Basilica, là dove tutto ebbe inizio quando vi fu portato il corpo di Antonio il 17 giugno 1231. Infatti il sito nel quale oggi si ammira la Cappella della Madonna Mora, tra la Cappella dell’Arca e la Cappella del Beato Luca Belludi, corrisponde a quello anticamente occupato dalla Chiesetta di Santa Maria Mater Domini, che Giovanni Da Nono, cronista padovano del XIV secolo, definì ex cannibus surgalibus. La sua attuale costruzione è appunto l’evoluzione strutturale di quella antica chiesa che venne rimaneggiata immediatamente dopo la tumulazione dei resti del Santo e immediatamente dopo la sua canonizzazione (30 maggio 1232), per adeguarla alle esigenze della crescente devozione da parte dei fedeli e dei pellegrini. Nel 1276, tra le provvidenze erogate dal Comune per alcune chiese e conventi di Padova, si trova citata anche Santa Maria Mater Domini, mentre era in piena attività il grande cantiere della Basilica antoniana, in in ran parte completato prima dell’evento straordinario della ricognizione dei resti mortali compiuto nel 1263 da san Bonaventura da Bagnoregio, allora Ministro generale dell’Ordine Francescano e la traslazione del corpo del Santo sotto la terza cupola. Dopo che l’Arca contenente il corpo di sant’Antonio venne traslata al centro della nuova Basilica l’antica chiesetta di Santa Maria Mater Domini venne trasformata in Cappella e, nel tempo, ne ebbero il «patronato» diverse famiglie padovane: i Rogati-Negri prima e, successivamente, gli Obizzi. Le trasformazioni e i rimaneggiamenti della Cappella della Madonna Mora, nel braccio sinistro del transetto della Basilica, si sono susseguiti fino alla versione attuale che risale alla metà dell’Ottocento (tra il 1852 e il 1853) quando, oltre a diverse modifiche delle finestre, ne venne reintonacata e dipinta la volta con stelle dorate su fondo blu, e venne rifatta la mensa dell’altare posta di fronte al tabernacolo trecentesco. Ma l’episodio artisticamente più significativo della Cappella è stato la costruzione del bellissimo tabernacolo gotico che racchiude, come in uno scrigno, l’immagine della Vergine con il Bambino in braccio, la Madonna Mora, appunto. Questo appellativo di origine popolare risale a tempi immemorabili e non trova spiegazioni in alcuna fonte, lasciando il campo aperto a fantasiose e suggestive ipotesi: per molti, la folta capigliatura bruna della Madonna; per altri l’aspetto scuro dell’effigie della Vergine reso tale dai fumi delle moltissime candele votive che nel tempo le avevano donato appunto un colorito brunastro.

E dopo l’intervento di pulitura della statua realizzato nel corso del 2010 su incarico della Veneranda Arca di S. Antonio, eseguito e sostenuto economicamente dalla Eurocostruzioni Spa dei fratelli Riccardo e Maurizio De Rossi, sembrerebbe che potesse essere proprio questa l’ipotesi più verosimile. Infatti, la pulitura eseguita nell’arco di un anno di lavoro, ha restituito i colori originali delle figure componenti il gruppo scultoreo in pietra naturale, finemente dipinto con inserti cromatici e dorature preziose, eseguito da Rinaldino di Francia (forse originario di Puy-l’Eveque, Francia meridionale), ma formatosi in Italia, che realizzò molte sculture in basilica, subentrando dopo la morte di Andriolo de Sanctis, massimo scultore veneziano del Trecento, scolpito appunto. Un legame particolare di questa Madonna Mora, dunque, sia con la storia della Basilica che della Veneranda Arca di S. Antonio, ancor più prezioso se si pensa che, curiosa coincidenza, questo capolavoro fu realizzato a cura della Confraternita di Sant’Antonio, proprio nel 1396, anno di fondazione della Veneranda Arca. Accanto alla statua della Madonna con il Bambino, nei pinnacoli della facciata Rinaldino di Francia ha rappresentato la tradizionale Annunciazione, disponendo a sinistra l’angelo e a destra la Vergine annunciata. Sul vertice del timpano triangolare con frontone, tipico dello stile gotico, compare l’Eterno Padre benedicente, mentre al centro è situato il tondo con il Cristo morto. Sui pulvini sovrapposti alle colonne sono raffigurati san Giovanni Battista e santa Maria Maddalena.

All’interno del tabernacolo, la parete di fondo dietro alla statua della Vergine è decorata con un pregevole affresco raffigurante il profeta Isaia e il re Davide contornati da angeli, eseguito secondo parte della critica da un seguace di Altichiero da Zevio, autore degli affreschi della Cappella di San Giacomo, ma recentemente ascritto alla mano di Giotto. Racchiude la cappella una preziosa cancellata in metallo dorato, decorata con oltre quattromila anelli, anch’essa ripulita e lucidata durante il restauro. Un anno di lavoro dunque che ha visto impegnati trentuno tecnici tra restauratori e allievi del CPIPE (Ente paritetico scuola edile per la provincia di Padova), coordinati dalla docente Lisa Tordini, restauratrice e direttore tecnico di Eurocostruzioni Spa. Le ore di lavoro impiegate sono state 5.400 e il valore stimato dell’intervento è stato di circa 135.000 euro interamente sostenuto da Eurocostruzioni Spa che ha fatturato alla Veneranda Arca un importo simbolico di 1 euro!

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